Il corrosivo del 24 febbraio 2015
Ho conosciuto
politici...
Ho conosciuto politici che erano
già da giovanissimi quel che diventarono poi, da maturi
o da anziani. Ho conosciuto politici che erano da
giovanissimi completamente diversi da quel che divennero
poi. Ho conosciuto politici che sono stati pessimi
amministratori, ho conosciuto amministratori di qualche
capacità che non hanno mai mostrato di possedere
capacità politiche.
Non farò nomi e nemmeno cognomi, dicendo subito che ho
personalmente dedicato alla politica non pochi anni
della mia vita, dovendo alla fine, anzi, abbastanza
presto, ammettere di non avere personalmente che
pochissime di quelle attitudini che bisogna avere per
fare carriera politica o per porsi al servizio della
propria comunità con la possibilità e la capacità
necessarie per “dare utili consigli”. Così Socrate
definiva la politica e al giovane Alcibiade, che gli
annunciava di essere intenzionato a fare politica in
Atene, chiedeva dove pensava di aver imparato quelle
cose che servivano per saper “dare consigli agli
ateniesi”.
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Ho
conosciuto politici teramani
che hanno dato ottimi consigli ai teramani e non sono stati mai
ascoltati. Ho conosciuto altri politici teramani che ne hanno
dato di pessimi e non solo sono stati ascoltati, ma sono stati
seguiti, obbediti quando i loro consigli sono diventati ordini e
sono stati non condannati o giudicati negativamente per le
conseguenze nefaste dei loro consigli cattivi, ma sono stati
ringraziati, celebrati ed esaltati. Ad alcuni di loro sono state
erette delle statue, più o meno metaforiche. Ho conosciuto
politici teramani che hanno fatto finta di dare buoni consigli
per tutti, ma soprattutto ne hanno dati buoni per sé e per i
loro amici e seguaci, che si sono rivelati alla distanza per
quel che erano, dei cattivi consigli per l’interesse pubblico e
buoni solo per l’interesse privato di pochi.
Non è utile chiedersi
se l’esercizio del potere consista in politica nella libertà di
compiere o no un’azione conforme al proprio volere e se la
stessa azione del volere dipenda dalla volontà. Occorrerebbe
ammettere una volontà interiore che determini la volontà e così
via all’infinito. In realtà, il politico dice assai spesso,
troppo spesso, anche se non sempre in maniera esplicita: “Non
voglio volere, ma voglio fare.” Dare l’impressione di una grande
capacità di fare è tipico di quasi tutti i politici che
detengono il potere, ai quali riesce fin troppo facile far
notare la differenza tra chi ha il potere di fare, proprio
perché detiene il potere, e chi non ce l’ha, non detiene il
potere e quindi si trova quasi sempre all’opposizione.
Sottolineare la differenza tra chi dice e chi fa è uno degli
obiettivi politici dei detentori del potere, ma anche uno dei
mezzi più facili di cui dispone chi vuole mettersi in evidenza
con quelli che addita come risultati, di per sé positivi, del
proprio fare.
Chiedersi quale sia il rapporto
tra libertà e potere è vano se non si risolve prima il problema
dei rapporti tra arbitrio e potere e quello dei confini che ci
sono tra il primo e il secondo. Ma anche chi detiene il potere e
lo esercita si trova sottoposto a così tante condizioni, se non
altro ideologiche e culturali, oltre che determinate dalle
esigenze di partito, di corrente o di clan, che difficilmente si
può parlare di decisioni interpretabili come atti liberi, di cui
assumere personalmente e interamente la responsabilità.
In politica è determinante il ruolo della contingenza e
molte decisioni amministrative vengono assunte tenendo conto
solo della contingenza e in nome di una necessità solo relativa,
ipotetica, non in quella di una necessità assoluta e geometrica.
Agire e decidere solo in nome della contingenza non contribuisce
a dare alle scelte una continuità di esecuzione e di disegno,
una linearità esprimibile nel rapporto tra un fine da conseguire
e un mezzo per conseguirlo. Quella che oggi viene chiamata, con
un pessimo e bruttissimo inglesismo, “governance” non può non
assumere giorno per giorno la forma e il significato altalenanti
di scelte casuali e dettate da una persistente assenza di
razionalità.
Non poche, anzi, quasi tutte,
le decisioni assunte sul piano amministrativo dalla Giunta
Brucchi, questa seconda così esecrabile, mostrano che chi le
assume non riesce a discernere distintamente ciò che determina
le proprie azioni, non riesce a rendersi conto davvero delle
ragioni e dei motivi che le determinano. Quasi tutte le scelte
mostrano che chi le compie non riesce egli stesso a comprendere
le ragioni del proprio agire, a cogliere che le determinazioni
vengono assunte a causa di una specie di costrizione, morale se
non fisica, che riduce fortemente, quando non annulla, la
volontarietà e l’intenzionalità, o, in una parola, il rispetto
di un bene superiore quale l’interesse pubblico.
Ho conosciuto politici, e
continuo a conoscerne, che hanno tanta presunzione di sé da
ritenere di essere ottimi politici e di giudicarsi tali. Ho
conosciuto politici che ritengono di essere degli statisti solo
perché sono in grado di accumulare diecine di migliaia di voti
di preferenza o di suffragi comunque ottenuti. Ho conosciuto
politici che si ritengono grandi e invincibili perché confondono
la realtà con le loro ambizioni o perché la prima cosa che
chiedono alla politica e all’apparato è di gratificare i propri
centurioni e le proprie truppe. Su questo piano non si riesce
mai ad essere tanto giovani da riuscire a sfuggire all’accusa,
fin troppo facile, di essere invece vecchi e di essere
l’espressione della vecchia, anzi vecchissima, politica.
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