Il corrosivo del 13 gennaio 2015
Incompetenza,
impotenza, arroganza
Questa settimana, leggendo la
cronaca delle gazzette
teramane ho imparato molto. Ovviamente, ho imparato di
più leggendo i blog e qualche pagina di Facebook. Perché
le gazzette dei nostri tempi sono parche e porche. La
realtà che raccontano è una realtà platinata, anche
quando provano ad usare carta riciclata (più o meno).
Quanto poi ai notiziari televisivi… bisogna procedere
con il lanternino, ma qualcosa si trova, se si cerca.
Dunque, provo a fare un bilancio di quello che ho
imparato. Ho imparato che il flop di un concerto di
capodanno può dipendere da una megalomane elefantiasi
delle ambizioni, che ha portato a sovradimensionare
tutto: palco, cachet dell’artista, luci, budget, ma
anche a gonfiare prezzi e costi - compresa l’Iva, pagata
al 22% invece che al 10% - e forse a completare qualche
scambio di favore elettorale. Ho imparato che tutto
questo può unirsi ad una grande incompetenza, che è il
primo segno distintivo della maggior parte (se non
tutti) degli assessori che Brucchi ha scelto come
esecutori delle sue ambizioni.
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L’assessore al
ramo ha giocato senza sapere nulla del gioco al quale giocava,
mostrandosi spaesata in ogni tempo e in ogni dove e non sapendo
da che parte cominciare nello sbrogliare una matassa di cui
ignorava la consistenza e la natura. Ci ha snocciolato una serie
di dati incerti e controversi sul costo dell’artista, smentita
dall’interessata, ma non fornendoli mai su un altro che artista
si autodefinisce ma si fa grande fatica a considerarlo tale.
Questo secondo “chansonnier”, noto per il suo invito ad alzare
le ascelle e per quello rivolto ad un non meglio identifico “Bastià”
ad “attaccare”, pare che sia intramontabile e insostituibile
nelle scelte musicali di questa giunta, di cui rappresenta tanto
metaforicamente il basso livello culturale. Ho imparato anche
che il genere “pecoreccio” piace molto agli interpreti e ai
protagonisti del nostro concerto di capodanno, che ha molto da
invidiare a quello viennese. Ne abbiamo avuto un esempio fonico
nella telefonata in cui è stato letteralmente mandato
“affanculo” un giornalista, qualificato anche dell’appellativo “strunzò”,
mentre in sottofondo si udiva una elegante voce femminile che in
un gorgheggio chiedeva: “Ciaè mo?”
La commedia all’italiana ha molto da
invidiare a queste pagine di autentico “pecoreccio” nostrano,
che sa tanto di tavole imbandite in un nugolo di mosche
provenienti dalla vicina stalla. Anche questo ho imparato, che
si può accoppiare la sapienza nello spostare i tasti di un mixer
audio con l’invocazione di una ferrea “privacy”, difesa con
tanto pecoreccio vigore, quando telefona un giornalista per
chiedere spiegazioni. Ho imparato che si può giocare con le
cifre e con le fatture, con gli sponsor e con le delibere,
facendo comparire e sparire queste e quelle in una nuvola
evanescente.
Ho imparato anche che c’è chi abbandona
i propri libri in strada, considerandoli come rifiuti, nemmeno
tanto speciali, e chiamare la Team per il ritiro, ignorando che
anche i libri hanno un’anima, nascono, vivono e muoiono,
sentono, odiano, amano, hanno freddo, paura, e alcuni di loro
sono coraggiosi, altri vigliacchi, altri sono timidi, altri
cercano di richiamare lettori con la seduzione delle loro pagine
che si sfogliano al vento nel mattino. In quel mucchio di libri
abbandonati in strada, come accade ai cani di cui i proprietari
vogliono sbarazzarsi al principiare dell’estate e all’arrivo
delle vacanze, come accade ai vecchi i cui famigliari lasciano
in un ospizio o in una corsia d’ospedale quando sono stanchi di
badare a loro. Ce n’erano alcuni che erano ancora intonsi, come
mostravano le loro pagine ancora vergini, non sfiorate dal
tagliacarte, mai lette.
Ho imparato che si può essere giovani e vecchi,
piccini e credersi grandi, che ci può illudere di portare un
cane al guinzaglio senza capire di essere portato da lui, e
perfino senza sapere di essere di lui più mordace e idrofobo. Ho
imparato che ci si può credere della forza e della potenza dei
propri genitori e forti di una grande debolezza, scambiata per
iniqua arroganza. Ho imparato che si può promettere primavere e
regalare solo inverni o, nella migliore delle ipotesi, solo
autunni. Ho imparato che si può chiedere ai teramani di pagare
somme incredibili per il ritiro dei rifiuti e costringendoli poi
a vivere tra l’immondizia, non raccolta per giorni e giorni.
Ho imparato che l’arroganza si sposa
spesso con l’incompetenza e con l’impotenza; che viene ritenuto
naturale che le case popolari, proprio perché popolari, siano
ricolme di liquami; che le parolacce possano essere considerate
come segnali di distinzione e di nobiltà, oltre che di alto
lignaggio; che si può nutrire ogni tipo di ambizione politica
senza avere alcun merito e alcuna qualità. Ho imparato anche che
si può far credere a tutti di essere il predestinato, l’uomo
nuovo della politica teramana, capace di cambiare il corso degli
eventi e il destino di una città ed essere, almeno per me, la
delusione più grande, per la straordinaria capacità di accettare
tutto e tutti, da tutti, di fingere di puntare al nuovo per
accontentarsi del vecchio.
Ho imparato che si può essere Paolo Gatti
credendosi un innovatore, senza ammettere di essere sì, Paolo
Gatti, ma di non avere che un orizzonte politico assai limitato,
non un gigante sulle spalle di un pigmeo, e nemmeno un pigmeo
sulle spalle di un gigante, ma, sempre politicamente parlando,
solo un pigmeo sulle spalle di un altro pigmeo.
Ma su quest’ultimo argomento tornerò prossimamente in modo
più argomentato.
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