Il corrosivo del 16 dicembre 2014
Eccesso di
formalismo giuridico
Un quintale di rame restituito ad
un gruppo di rom di un
campo nomadi perché non ci sarebbero le prove che fosse
la refurtiva. Un gruppo di rumeni rilasciati dopo
l’arresto perché non si sarebbero le prove che fossero
ladri, anche se trovati all’interno di un appartamento
dove erano entrati violando il domicilio, ma senza
refurtiva, perché non avevano ancora rubato, essendo
stati scoperti prima che facessero in tempo. Persone
sospette trovate con l’automobile piena di arnesi atti
allo scasso e rilasciate perché non ci sarebbero le
prove che volessero servirsene per forzare appartamenti
e aprire porte blindate.
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Gli “strani” casi riportati sulla cronaca
sulle “strane” decisioni di alcuni magistrati italiani sono
tanti e si succedono continuamente, mentre aumenta
proporzionalmente l’insicurezza dei cittadini, che non si
sentono da tempo più tranquilli nelle loro abitazioni. Poiché è
da ritenere che i magistrati siano persone sane di mente - anche
se c’è stato un presidente del consiglio in carica che lo mise
in dubbio - sono poche le ipotesi che si possono fare per
giustificare alcune decisioni che risultano nettamente in
contrasto con la sensazione comune dell’opinione pubblica e con
il comune sentire del cittadino normale, oltre che
apparentemente in contrasto con la logica e con la razionalità.
C’è chi ipotizza un buonismo generalizzato,
che però si scontra con l’eccessiva severità di alcune sentenze
nei confronti di imputati per reati davvero di poca importanza.
C’è chi ipotizza un lassismo che porterebbe a sottovalutare
alcuni reati, previsti dal codice penale, a causa di un
sociologismo nefasto che indurrebbe alla giustificazione dei
comportamenti delittuosi sulla base di sopravvalutazioni di
condizioni di vita e di situazioni che verrebbero considerate
come attenuanti: la povertà, la fame, l’indigenza. C’è chi
ipotizza che alcuni magistrati “buonisti” si siano ormai
convinti definitivamente che reati quali la violazione di
domicilio, il furto in appartamento e la rapina con il temperino
siano reati minori, di poca valenza e di sopravvalutato allarme
sociale, che esistano il micro-crimine e la micro-criminalità e
che il codice penale si affanni troppo a volerli sanzionare.
Io propongo un’altra ipotesi di lettura,
che spiega meglio, secondo me, come ci siano tante
assoluzioni e tanti “assolvimenti”, tra l’etico e il giuridico,
di comportamenti che andrebbero sanzionati, ma che non vengono
sanzionati (creando a volte mostri giuridici, per i quali chi
entra in una abitazione con la forza e con la forza rapina i
residenti malmenandoli e derubandoli, lasciandoli malconci,
viene assolto e chi alza un dito contro chi gli viola il
domicilio e vuole rapinarlo e malmenaro e lo fa solo per
difendere se stesso e la propria famiglia viene condannato con
severità). Io ipotizzo che questi magistrati di bocca buona,
pronti all’assoluzione “erga omnes”, siano malati di eccessivo
formalismo giuridico, che è una degenerazione del diritto.
Consiste nel punto di vista di chi privilegia la forma alla
sostanza delle questioni giuridiche. Si distingue dal formalismo
pratico, di cui vengono accusati molti giuristi moderni e che
consiste nel servirsi di ordinamenti normativi per
standardizzare i comportamenti, in politica, morale, religione,
che individuano nelle norme la ragione pratica giustificatrice
delle condotte assunte come giuridiche.
Se il formalismo pratico è un atteggiamento
mentale che utilizza il diritto come lo strumento
per scegliere quale azione compiere, il formalismo giuridico si
presenta piuttosto come “formalismo interpretativo” e propugna
la necessità di una interpretazione corretta degli enunciati
normativi, siano esse leggi, sentenze o contratti ecc.) e crede
che ad ogni singolo enunciato normativo, correttamente
interpretato, corrisponde un solo significato normativo. Per i
giudici che giudicano applicando un formalismo giuridico molto
spesso esasperato, è più importante la forma che la sostanza del
diritto e il rispetto della forma è sempre più importante di
ogni altro aspetto, anche quelli presentati dalla realtà
comportamentale. La concezione del diritto come forma della
realtà sociale porta ad interpretare ogni azione che il codice
penale prevede come criminosa, e quindi sanzionabile, sulla base
di considerazioni bizantine che molto spesso assomigliano a
“busillis” e a “cavilli”, di cui si fa una ricerca esasperata,
senza entrare nella sostanza dei fatti e dei comportamenti degli
imputati. Quante volte la non perfetta notifica di un
provvedimento, anche di pochissima rilevanza, ha avuto aggio
sull’imputabilità e su ogni altro elemento accusatorio, portando
in Cassazione a a clamorose riforme di sentenze di condanna nei
primi gradi di giudizio e ad assoluzioni difficilmente
spiegabili ed accettabili sul piano della sostanza del diritto?
L’eccessivo formalismo giuridico
non è tipico solo dei giudici di Cassazione, spesso si presenta
anche nei giudici di grado meno elevato. Porta a rilasci,
scarcerazioni, discolpamenti di incalliti e recidivi non sulla
base della realtà dei fatti e delle intenzioni, evidenti, ma
sulla base di una formalistica interpretazione che configura il
diritto come realtà astratta invece che concreta. Quando
l’eccessivo formalismo si accoppia ad un “buonismo” di principio
o ad un ignavia di fondo, ad una tendenza a rifiutare ogni
assunzione di responsabilità, un giudice, o chiunque altro è
chiamato ad emettere una sentenza o a prendere una decisione,
finisce con il dar vita a delle mostruosità che la cronaca non
può non mettere in evidenza, perché ripugnano alla pubblica
opinione e al senso comune del comune cittadino, il quale non
può non scandalizzarsi quando vede premiata la condotta
criminale e punita richiesta di giustizia, privata e collettiva.
Il formalismo giuridico funziona in
entrambi i sensi, quello dell’eccessiva indulgenza e quello
dell’eccessiva severità. Fabrizio Corona sta scontando una pena
detentiva per reati penali assai meno rilevanti di quello
commesso da omicidi rimessi in libertà dopo pochi mesi.