SIGNORA L.
– Io e te sappiamo benissimo che non ci siamo mai
potute vedere.
SIGNORA O.
– Lo riconosco. Né vedere né incontrare. Ovunque, e
comunque, quando sei arrivata tu, io son dovuta
andare via e, quando sono arrivata io, sei dovuta
andare via tu.
SIGNORA L.
– Ognuno di noi ha il proprio regno e i propri
sudditi, mia cara. I miei sono illuminati, i tuoi
no.
SIGNORA O.
– Il mio regno sarà oscuro e misterioso, ma almeno
non abbaglia e non ferisce gli occhi. Anche tu, come
me, hai il potere di rendere ciechi gli uomini.
SIGNORA L.
– Veniamo al dunque. Finora questa città faceva
parte del mio regno. Perché mi hai cacciato via e mi
hai costretto ad andarmene? Soprattutto, chi ti ha
aiutato? Perché non ti saresti certamente
impadronita di Teramo, se qualcuno non ti avesse
offerto i propri favori.
SIGNORA O.
– Ho fatto tutto da me. Anzi, non ho fatto altro che
arrivare io quando sei andata via tu. Tu te ne sei
andata e io sono arrivata, nella piazza centrale,
lungo il Corso, in ampie zone della città, sia del
centro che delle periferia, in ospedale, al
palazzetto dello sport.
SIGNORA L.
– Mi avevano avvertito della tua tendenza a dire
sempre il falso. Io sono stata costretta a
retrocedere da quelle zone, quando sei arrivata tu,
non viceversa. So che non ti ha aiutato il sindaco
in questa tua avanzata, come pure molti hanno detto,
e sono convinta che non ti abbia aiutato nessuno
degli assessori, ma qualcuno deve averti dato il
proprio sostegno.
SIGNORA O.
– Anche quel balordo di Gas ha continuato a dire che
nessuno lo aveva cacciato da Teramo e che nessuno lo
aveva costretto ad andare via dalle tubature, ma
tutti sappiamo che non è vero e che ci fu chi…
SIGNORA L.
– Ma che ne vuoi sapere tu, che vai raccattando le
chiacchiere della gente e le fai tue?
Questa città era mia, è mia, anche perché chi la
governa è affiliato alla mia loggia, sono io che li
illumino e Teramo è una città illuminata che ha il
diritto di restare illuminata.
SIGNORA O.
– E che sarà mai se i residenti si fanno una bella
cura disintossicante? Non puoi pretendere di fare
sempre tu la padrona. Su alcune realtà è bene che
eserciti io il mio dominio.
SIGNORA L.
– Sì, sulla politica, sugli affari, sulle vicende
bancarie, sulla sanità, sulle scelte dei
collaboratori e sulle nomine, su quelle hai sempre
esercitato tu il tuo potere. Ma nelle strade, nelle
piazze… devo essere io a regnare, altrimenti la
gente incespica, inciampa, cade, batte la faccia in
terra e si fa male.
SIGNORA O.
– Illusa. Ti illudi. Ormai il tuo potere è ridotto.
Tutti sanno che non puoi continuare ad avanzare e
devi retrocedere. Hai visto che ti hanno cacciato
anche dall’Università, dal Braga, dalla Regione
Abruzzo, dove si affollano e si aggirano fantasmi
dallo strano nome, Dedalus… Icarus…
SIGNORA L.-
Non fai fede al tuo nome. Tu dovresti essere
ignorante, e io sapiente, tu all’oscuro delle cose e
io nella loro piena conoscenza.
SIGNORA O.
– Le cose si sono rovesciate, mia cara. Le parti si
sono invertite e quello che facevi tu ora lo faccio
io e quello che facevo io lo fai tu. Non hai visto
come è andata a finire con il processo sul terremoto
dell’Aquila? Non ci sono responsabili, non ci sono
colpevoli, il fatto non sussiste, non ci sono stati
dei morti e non c’è stato alcun terremoto. Pensavi
che anche la giustizia fosse nel tuo dominio? Se mai
lo è stata, adesso sai che è nel mio.
SIGNORA L.
- Vantatene pure…
SIGNORA O.
- Certo che me ne vanto. Potrà anche essere che le
strade e le piazze di Teramo, quelle dalle quali ti
ho cacciato, tornino nel tuo possesso, ma alcune mie
conquiste sono ormai irrevocabili, irreversibili e
non riuscirai mai a capovolgere questa realtà. Ti
sei illusa troppo a lungo di tenere sotto la tua
protezione quella baldracca…
SIGNORA
L. – A chi alludi?
SIGNORA O
– Alla Signora Verità, che ha fatto
sempre la santarellina, sicura della tua protezione.
Per lei è finita. E’ nelle mie mani, la caccerò in
un postribolo e le farò fare la puttana, la donna di
tutti, come merita. Ognuno se la godrà a proprio
piacimento. Lo stesso farò con le sue amiche, le
altre belline, santarelline, beghine: Fede, Carità,
Speranza, Onestà…
Fu in quel momento che le due vennero
alle mani,
incapaci di proseguire in una conversazione sia pure
tanto accesa. Si presero per i capelli, si
avvinghiarono, si insanguinarono e strepitarono
tanto che qualcuno chiamò la polizia. Il commissario
che intervenne le identificò: la prima, quella con
il vestito bianco, si chiamava Luce, quella con il
vestito scuro si chiamava Ombra. Nel suo verbale, il
commissario scrisse che le due Signore si erano
rivelate tutt’altro che signorili e avevano
continuato a offendersi in modo scurrile anche in
sua presenza. Le aveva lasciate andare e ognuna era
uscita da una porta diversa della “Locanda
Penombra”, continuando ad inveire l’una contro
l’altra. Quando arrivò in Questura, il commissario
ci pensò su un momento e poi strappò il suo verbale.
Chi glielo faceva fare a cacciarsi nei
guai? Stava uscendo per tornare a casa,
quando nel suo ufficio mancò la corrente elettrica.
La luce si spense. Si affacciò alla finestra e vide
che anche in strada era tutto buio. Si sdraiò sul
divano e, vestito com’era, si mise a dormire.
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