Chi tra noi era esterofilo e
aveva viaggiato lo chiamava
“Calle mayor”, come in Spagna chiamavano le vie
principali delle città. La gente sosta quasi tutta
sui marciapiedi, perché, come mostrano con evidenza
le scie luminose prodotte da una prolungata posa del
fotografo, per il Corso ci passavano le automobili,
in su e in giù. Non erano tante, ma ci passavano. Se
passeggiare a piedi per il Corso, sui marciapiedi,
serviva a incrociare le ragazze, passare per il
Corso al volante dell’auto nuova appena acquistata
era d’obbligo, anche per chi non era esibizionista.
Le luci. Le insegne illuminate a bandiera,
all’ultimo grido. Teramo era un paesotto, ma era un
capoluogo e sapeva esserlo. Sia sulla destra che
sulla sinistra la scritta “Fermata” indica che per
il Corso ci passavano anche gli autobus, e il logo,
riconoscibilissimo per i più anziani, rimanda alla
ditta a cui era demandato il servizio pubblico:
l’INT (Istituto Nazionale Trasporti). Ma lungo il
Corso ci passava anche la Romanelli, che partiva da
Piazza Martiri, davanti all’Agenzia Ferrante,
diretta a Roma. Per i viaggi più lunghi, turistici,
c’era l’Italvie, di Torretta, la cui insegna faceva
bella mostra di sé sulla destra, quasi in primo
piano. I portici del Grande d’Italia, detto anche
Caffè Fumo, erano sempre molto animati e sopra, due
piani sopra, il Casino Teramano ospitava soci,
viveur e accaniti giocatori di carte, alcuni in
salette del tutto riservate, sulle quali si
favoleggiava molto.
Le altre insegne luminose ci
riportano alla memoria attività commerciali nel
pieno vigore, in anni in cui maturava il boom
economico che sarebbe esploso definitivamente negli
anni ’60. “Confezioni Tessuti” dice la scritta dei
Magazzini Abruzzesi, sia popolari che elitari, a
seconda delle necessità, dove si comprava il
cappotto buono quando si avevano soldi da spendere.
La scritta “Everest”, di un negozio che vendeva le
celebri e affidabili macchine da scrivere, più
professionali delle popolari ed economiche Olivetti,
non è illuminata, ma lo è quella che sta un po’ più
su, sempre sulla destra: “Lane”. Dopo l’insegna,
pure luminosa, dell’INA (Istituto Nazionale
Assicurazioni) ce n’è un’altra che dice ancora “Lanerossi”,
ma la N è spenta, un guasto in attesa di
riparazione.
Si succedono sullo stesso lato altre
scritte, policrome, per dare visibilità
a negozi e ad esercizi commerciali in piena
attività, di ottima rendita per i titolari e di
piena soddisfazione per i clienti. Le ultime scritte
luminose arrivano fino a “capo del Corso”, dove la
via principale di Teramo sboccava in Piazza
Garibaldi, e qui anche la fontana era luminosa. Sul
lato sinistro la prima insegna è quella del Banco di
Napoli, l’istituto di credito più accreditato e
serio dopo la Banca d’Italia. L’insegna luminosa è
ad arco e sta a contrassegnare che l’intero palazzo
appartiene alla banca. L’insegna della Farmacia
Cerasani è tonda, ma non illuminata, non era ancora
arrivato il tempo delle croci verdi luminose di luce
alternata. Sotto i portici, nel piano rialzato di
mezzo, c’era la redazione teramana de “Il
Messaggero”, guidata da Nino D’Amico, nella quale
proprio sul finire degli anni ’50, cominciai,
proprio su una macchina da scrivere Everest, a
battere i miei primi articoli, da affidare
all’ultima Romanelli che sarebbe partita alle 23,30
e li avrebbe portati “fuorisacco” (come si diceva) a
Roma, insieme con i pezzi dei colleghi, per essere
pubblicati due giorni dopo.
La scritta luminosa
“Tabacchi” era
quella della tabaccheria Camillini, dove a volte si
poteva incontrare, nell’insolita veste di tabaccaio,
il severissimo prof. Camillini, che faceva tremare
di paura tutti i suoi alunni delle Scuole Medie “Zippilli”,
che si trovavano nello stesso palazzo dove si
trovava l’Istituto Magistrale, in via Carducci.
Anche sul lato sinistro le insegne luminose si
susseguivano una dietro l’altra, gareggiando in
splendore e in colori, quella di un bar, quelle di
altre attività commerciali, di quando i commercianti
non temevano di fallire da un giorno all’altro, ma
pensavano ad ingrandirsi e a progredire con i
proventi delle vendite, sempre crescenti. I lampioni
lungo il Corso, così ravvicinati e così splendenti,
erano quelli che davano più luce, anche più delle
insegne luminose, e ci si vedeva a giorno. Per
divertirsi c’erano due sale cinematografiche lungo
il Corso, l’Apollo e il Cine Teatro Comunale, ma
c’erano altre tre alternative, le sale parrocchiali
di San Berardo, del Carmine, di Sant’Antonio.
Teramo
che non c’è più, Teramo perduta, Teramo
avvolta nella nebbia dei ricordi, Teramo quasi come
Las Vegas, una piccola Broadway… no… Era anche
quella una Teramo piccola, piccola, piccola…. così…
una Teramo alla Fred Buscaglione, in cui si tirava a
far tardi cercando di spendere il meno possibile, ma
in cui i giovani avevano le tasche piene di sogni…
Il sogno ricorrente era quello di andare via, di
andare a studiare a Roma, a Bologna, a Firenze… Ma
era un Teramo piena di luci… ora sono rimaste solo
le ombre. E i sogni? Li abbiamo smarriti, perché nei
nostri vestiti lisi le tasche, da tempo, erano
bucate, anche se non ce ne eravamo accorti.
|