Il corrosivo del 23 agosto 2011      

    

    

     Qualche settimana fa un giornalista, Nicola Di Paolantonio, ha posto su questo giornale una questione relativa al ruolo e alla funzione del giornalismo, ha formulato alcune domande specifiche sulla realtà del giornalismo teramano e si è chiesto quale potrà essere, in un prossimo o remoto futuro, la lettura della nostra attuale realtà sociale e culturale attraverso le cronache che i giornali ne propongono quotidianamente. Poiché da tempo mi pongo questi e altri interrogativi sulla specificità del giornalismo teramano e in una comparazione con quanto esso ha proposto nei decenni passati, o addirittura dei secoli scorsi, ero assai interessato agli sviluppi del dibattito che Di Paolantonio, per sua ammissione, aveva inteso sollecitare. Come però avevo temuto, dopo qualche riflessione, non priva di spunti interessati, da parte di alcuni addetti ai lavori, cioè giornalisti, è subentrato un rumoroso silenzio e il dibattito è mancato.

     Ho atteso volutamente il tempo necessario per dare la possibilità a qualche ritardatario di intervenire e dire la sua prima di proporre una mia riflessione, da non addetto ai lavori, in quanto, notoriamente, non sono un giornalista. In Italia, per legge, si può definire giornalista non chi scrive sui giornali, anche per lunghi anni e a vario titolo, ma solo chi è iscritto all’ordine dei giornalisti, o nell’albo dei professionisti o in quello dei pubblicisti. Pertanto io, che non solo non sono iscritto all’ordine dei giornalisti, e anzi sono contrario alla sua esistenza, non ho voce in capitolo per partecipare al dibattito che intendeva sollecitare Di Paolantonio, essendo molti altri assai più titolati di me a farlo e legittimati “ope legis” a farlo.

 

     Volendo perciò dire la mia, almeno parzialmente, sull’argomento in questione, propongo una riflessione, come dire?, da lettore di giornali, credendo di essere legittimato a farlo almeno in quanto tale, senza timore di essere accusato di invadere il campo altrui, sia pure con la certezza che non mancherà chi mi imputerà di usare troppo disinvoltamente il sarcasmo insito in una dichiarazione di falsa modestia. Riparerò, preventivamente, al malfatto, avvertendo che ometterò riflessioni di ampio respiro, che pure in passato ho affidato ad una differenziata pubblicazione multimediale, e mi limiterò ad un semplice interrogativo che le sollecitazioni di Di Paolantonio mi hanno subito suscitato.

     Che cosa manca nel giornalismo teramano di oggi, perso dietro un desiderio di sopravvivenza e di affrancamento dal precariato a vita, schiavo di una sorta di sensazionalismo che tende a sopravvalutare uomini ed eventi, vittima della necessità di doversi muovere sulla scia di un politico che svolga la funzione di santo protettore? Manca soprattutto una virtù: quella di far domande. Manca l’arte del far domande; manca il mestiere che consente di saperle fare; manca la volontà, o il coraggio, di farle in libertà e quindi non in ginocchio di fronte al potente. Alla domanda: è più facile fare domande o dare risposte? ho sempre risposto, convintamente, che è più facile dare risposte, essendo assai più difficile fare domande e saperle fare. Il filosofo Eraclito scriveva che l’intima natura delle cose ama nascondersi. Ne conseguiva che, volendo conoscere la natura e svelare i suoi misteri, occorreva imparare l’arte di saperla interrogare e così bene da costringerla a dare risposte. La scienza non è altro che saper interrogare la natura così bene dall’essere capace di ottenere delle risposte dalla natura. In questo consiste l’arte dell’indagare, che è precisamente l’arte dell’interrogare e sapere trarre da una risposta materia per una nuova domanda e così via, senza accontentarsi della prima risposta che ci dà chi interroghiamo.

     Il giornalismo teramano ha smarrito, salvo rare eccezioni, l’arte del far domande, si accontenta di risposte confezionate e pubblica quelle che una volta si chiamavano “veline”. Non informa, comunica. Che cosa comunica? La voce del padrone. Di questo o di quello, a seconda di chi in quel momento padrone si considera e come tale si comporta. Giornalismo d’inchiesta? Nemmeno a parlarne. Al padrone perfino fare domande può risultare irriverente. Allora niente domande, niente giornalismo. Solo cronaca. I cronisti non fanno domande, descrivono quel che vedono o quello che gli lasciano vedere. Anche loro potrebbero fare domande, ma non ne fanno. E i giornalisti? Ci sono, ma non fanno domande. Molto spesso pubblicano le risposte senza che ci siano state, prima, nemmeno le domande. A volte pubblicano le contro-risposte contestualmente alle risposte, e sempre senza che ci siano state le domande.

     Ecco: il giornalismo teramano è oggi, sempre salvo rare eccezioni, un giornalismo di risposta, non un giornalismo di domanda. E’ il giornalismo più facile. Anzi, a pensarci bene, non è nemmeno giornalismo. Ma chi sono io per dirlo che non lo è? Nessuno. Perché in Italia sono legittimati a parlare di giornalismo solo i giornalisti, cioè gli iscritti all’ordine. Non succede così per tutti gli altri ordini professionali? E chi vuole abolirli viene considerato un nemico dell’ordine costituito. Chi si ostina poi a voler fare domande e a porre interrogativi, senza accontentarsi delle prime banali, acquietanti risposte, passa per rompiscatole. Qual sono.