Il corrosivo del  8 febbraio 2011

    

          Avevano ragione i critici dell’università teramana, quelli che ne contestavano le spese faraoniche e la poca produttività; avevano ragione quanti esprimevano riserve sulla qualità dei servizi resi agli studenti, sulla pochezza dei risultati scientifici e sulla evanescente valenza didattica. Avevano torto quanti insistevano nel rintuzzare le accuse, accampando giustificazioni inconsistenti e vantando meriti non dimostrati. La valutazione espressa su precisi parametri ministeriali, una serie di indicatori oggettivamente incontestabili, ha relegato l’Università di Teramo agli ultimi posti nella classifica tra le università virtuose, confermando un elemento sul quale già il Miur aveva fornito una prima impietosa sentenza: la spesa per gli stipendi è troppo alta rispetto a quella per gli studenti e questo produce un taglio consistente nell’erogazione di fondi per il 2011. Già pessimamente piazzata nella classifica dell’anno precedente, la posizione dell’università teramana è ancora peggiorata, disperdendo al vento le arringhe auto-difensive di quanti si erano affannati a negare l’evidenza e a tentare di far passare per verità una mistificazione. Il costo della macchina universitaria teramana, per il suo solo funzionamento, è assai più alto del livello delle risorse che produce e del servizio che eroga. Il male stava nelle radici, antico e mai curato, ma chi si è succeduto alla guida di un mostruoso apparato fine a se stesso non è mai riuscito a porre rimedio ad una situazione che allo stato dei fatti risulta drammatico. Il taglio dei fondi, infatti, non potendosi dall’oggi al domani provvedere ad una contrazione degli stipendi e delle spese amministrative, finirà con il riflettersi sul funzionamento e sull’erogazione dei servizi agli studenti, abbassando ancora di più il livello dell’offerta formativa.

      Non si può non ricordare l’epoca russiana (quella del rettore Russi), in cui lo sperpero raggiunse livelli inauditi, in cui l’università fu fatta a pezzi e dispersa sul territorio provinciale, per accontentare amministratori locali e locali conventicole di potere, nel nome di un decentramento che era pazzesco. Non si può non ricordare l’epoca in cui venivano istituiti nuovi corsi di laurea per numeri assai limitati di studenti, frutto di logiche che non rispondevano ad alcun criterio scientifico o accademico, ma solo ad una serie di interessi dettati dal carrierismo accademico. L’università teramana è sempre stata considerata, “ab ovo”, una sorta di succursale di altre università, prima di quelle romane, poi anche di altre, i cui baroni spedivano a Teramo i loro vassalli, non certo i migliori, a farsi le ossa o ad istituire nuovi feudi. Nel corso della sua storia l’accademia teramana ha potuto vantare pochissime eccellenze, facendosi invece apprezzare in negativo per aver avuto o portato in cattedra a volte autentiche nullità, di il cui curriculum da solo avrebbe potuto mostrare, se esaminato anche superficialmente, la pochezza o, come unico merito, l’appartenenza ai servizi segreti o alla massoneria.

      Grazie a questo mastodontico apparato di cattedratici a mezzo servizio, Teramo non è mai diventata una vera città universitaria. Non ha mai potuto rapportarsi con l’università e mai trarne beneficio sul piano culturale. Non c’è mai stata una interazione, nonostante sindaci volenterosi, l’ultimo dei quali Gianni Chiodi, abbiano spesso operato tentativi generosi. Nessun risultato è stato ottenuto. Il mondo accademico è rimasto chiuso nella sua torre d’avorio, puntando, in nome di un ostentato rifiuto del provincialismo, verso obiettivi imperscrutabili, il cui raggiungimento prescindeva totalmente dalla realtà territoriale, ma anche da quella della produzione culturale. Altrettanto inesistente e mai intrecciato è stato il rapporto, che pure sarebbe stato utile e necessario, tra mondo accademico e realtà scolastiche locali. I nostri studenti di scuola media superiore, i loro insegnanti, i loro presidi non hanno mai avuto rapporti con i titolari di cattedra né con i loro assistenti; le nostre associazioni culturali non hanno potuto stabilire un colloquio fattivo con i docenti universitari e questi hanno disconosciuto ogni valenza culturale a ciò che veniva fatto per elevare il tono del dibattito culturale in città. Si sono visti eventi culturali organizzati da queste associazioni culturali senza che un solo docente universitario, pur invitato, risultasse presente. Si sono visti perfino eventi culturali realizzati all’interno dell’università da associazioni esterne ai quali nessun docente universitario ha ritenuto utile o interessante prendere parte. Nessun rapporto concreto c’è stato mai tra l’università teramana e l’editoria abruzzese, avendo sempre preferito chi si recava a Teramo per insegnare o per fare esami, intessere reti di legami con editori extra-regionali, del tutto disinteressati alla realtà teramana o abruzzese. Nelle poche librerie teramane i docenti dell’Università di Teramo non hanno mai messo piede, salvo poche eccezioni, né hanno mai consigliato i loro allievi a mettercelo e perfino nella nostra biblioteca provinciale, un’istituzione di tutto rilievo, le loro frequentazioni sono state e continuano ad essere sporadiche e assai rare, al contrario di quelle degli studenti.

      Il risultato di questo atteggiamento protervo, conclamatosi in una chiusura totale al territorio, è quello che è stato così pesantemente sanzionato dal giudizio ministeriale: poca qualità scientifica e didattica; spese finalizzate per la maggior parte agli stipendi; servizi di livello inaccettabile. E’ arrivata la conferma che l’Università di Teramo ha come punto di riferimento l’interesse di chi ci insegna, non di chi ci studia; è un’istituzione orientata verso la sopravvivenza di se stessa non alla crescita culturale di quanti la frequentano per apprendere. Se l’atteggiamento del ministero si confermerà quale si preannuncia, arriveranno tempi assai duri. Sarà difficile, o impossibile, per le resistenze baronali, ridurre corsi di laurea o ridurre contratti di docenza, e quindi ridurre gli stipendi; sarà difficile sfoltire il quadro degli amministrativi o contrarre le spese improduttive, perché tutte motivate da logiche perverse che sarà impossibile vanificare in tempi brevi. Così, come dicevo all’inizio, si sarà costretti a diminuire il livello dei servizi erogati agli studenti.

      L’Università di Teramo mi dà l’idea di un naufrago che si trova in mezzo ad una tempesta, che lotta contro le onde, per non andare a fondo, stando abbarbicata ad una boa a cui è riuscita miracolosamente ad avvinghiarsi con le mani in un estremo tentativo di salvezza. Quanto potrà resistere?