Il corrosivo del 30 giugno 2009

Parlo per qualche minuto con un gruppo di concittadini, teramani, e il discorso cade su Ravenna. Mi capita di dire che è una città bellissima, che ha notevoli monumenti, opere d’arte di inestimabile valore, che vi si trova la tomba di Dante, e, per inciso, accenno ad un passo della Divina Commedia. Uno mi ascolta, gli altri, quattro o cinque, seguono distrattamente, appoggiati alla ringhiera del sottopassaggio inutilizzato o quasi di Piazza Martiri. Ad un certo punto, non ricordo come, il discorso si sposta, sempre rimanendo su Ravenna, su un argomento manducatorio… insomma, il mangiare. Scocca la scintilla, all’improvviso gli altri componenti del gruppo, che finora avevano utilizzato solo orecchie, e molto distratte, cominciano ad usare anche gli occhi, strabuzzandoli, e le bocche, dando fiato a profluvii di parole. Si mettono a parlare dei ristoranti di Ravenna dove si mangia meglio, commentano piatti, pietanze e usanze del personale di servizio, parlano di menu e di costi, e di altri ristoranti, discutendo su quale sia quello nel quale si mangia meglio. Conoscono la ristorazione a Ravenna come libri stampati, sembrano le guide Michelin, affibbiano quattro o cinque stelle a questo o quel ristorante. Il discorso su sposta su Padova, non ricordo perché, forse perché dico che ci abito a lungo, in questi ultimi tempi, ed ecco che quelli cominciano a parlare della ristorazione a Padova, citando questo o quell’altro ristorante, dimostrando ancora più competenza di quando ne avessero mostrata a proposito di Ravenna. Mi citano posti di ristoro che io nemmeno conosco. Sembra che loro, invece, conoscano i ristiranti di Padova come e meglio di quanto farebbe Artusi. E non appena il discorso si sposta su Verona, ecco l’elenco completo dei posti migliori dove si mangia a Verona. Non ci provo nemmeno a parlare dell’Arena e del Museo Civico. E so che, se parlassi, di Mantova, non mi parlerebbero di Mantegna, e nemmeno di Nuvolari, ma di ristoranti, ristoranti e ancora ristoranti. Si avvicina una coppia di stranieri, chiedono dove possono cenare a Teramo. Il gruppo si anima, prende a discutere, ognuno dice la sua, ognuno consiglia questo o quel posto, vantano specialità culinarie ed entrano nei dettagli delle cucine e dei cuochi. E’ sufficiente che la coppia di forestieri chieda qualche consiglio sulle cose da poter vedere a Teramo nel poco tempo che hanno a disposizione, che il gruppo si azzittisce, tutti rimangono muti.  Nessuno più sa dire nulla. A nessuno viene in mente il Paliotto, a nessuno il teatro romano, a nessuno la Pinacoteca, la competenza che hanno della loro stessa città, come di altre città, si ferma ai ristoranti. Non hanno altro interesse. Ricordo che, quando seguivo le trasferte del Teramo, come cronista, e le seguivano anche i tifosi, i teramani invadevano in massa i ristoranti delle città dove i biancorossi si recavano a giocare. Mi viene in mente che, se la crisi li privasse di ogni risorsa economica, i miei concittadini teramani, che sono così parsimoniosi  nelle spese per la lettura e per la cultura, spenderebbero i loro ultimi euro stando seduti al tavolo di un ristorante. Un ristorante di pesce, naturalmente, perché è ciò che apprezzano di più. Da dove nasce questa sviscerata passione dei teramani per il mangiare bene? Perché di tutte le attività umane, la degustazione di cibi prelibati sembra essere quella che preferiscono? Perché il piacere della tavola viene da loro preferito perfino al piacere inteso in senso stretto, vale a dire quello sessuale? Perché per loro il piacere della carne non è il piacere che si prova a letto, ma in un ristorante e al piacere della carne preferiscono il più costoso e prelibato piacere del pesce? Mistero.